Blog_IT

Favole al telefono

Favole al telefonoCome molti genitori, ho due figli affamati di storie. Negli ultimi otto anni (l’età di Alice, la più grande) mi sono impegnato a inventare e raccontare storie (senza leggerle) e con un certo successo, almeno di fronte al mio pubblico di due spettatori 🙂 Tuttavia, la fame sembra insaziabile, per cui, dopo aver riciclato anche quelle che mio padre inventava per me, ho continuato a cercarne, e ho recuperato questo libro di Gianni Rodari, uscito la prima volta nel 1962, prima che io nascessi. Ricordo di averlo letto e riletto da bambino. Il successo con il mio pubblico di affamati bambini del terzo millennio è stato immediato e le ben settanta storie un toccasana per il mio status di papà con ansia da prestazione.

I titoli delle storie brevi sono storie di per sè (Il topo che mangiava i gatti, l’uomo che rubava il colosseo, Alice cascherina, il pulcino cosmico, la caramella istruttiva, il naso che scappa, Giacomo di cristallo).

L’introduzione del libro racconta che il ragionier Bianchi, di Varese, “viaggiava sei giorni su sette e ogni sera, ovunque si trovasse, alle nove in punto, telefonava a sua figlia per raccontarle una storia”. Le storie sono brevi, perchè, in quel tempo di cabine telefoniche, telefoni fissi e centraliniste, “il ragioniere pagava il telefono di tasca sua, non poteva mica fare telefonate troppo lunghe. Solo qualche volta, se aveva concluso buoni affari, si permetteva qualche “unità” in più. Mi hanno detto che quando il signor Bianchi chiamava Varese, le signorine del centralino sospendevano tutte le telefonate per ascoltare le sue storie. Sfido: alcune sono proprio belline.

Insomma, attraverso quelle telefonate passava molta della relazione tra un papà e una figlia.

Tutto questo mi è venuto in mente notando che nell’elenco delle mie sessioni telefoniche come coach nel mese di Aprile, ce n’è una sola con un cliente italiano.

Tutti gli altri clienti italiani con cui Phone bootlavoro vengono nel mio studio e nonostante abbia offerto sessioni gratuite di coaching telefonico, pochissimi italiani ne hanno ancora approfittato (a fronte di clienti dalla Spagna, dal New Mexico, dalla Svezia, da Hong Kong, ad esempio).

Ho pensato che ci sia un pregiudizio culturale sul telefono o sulle sessioni in sola voce, quando si tratta di parlare di aspetti importanti (e qualche volta delicati) della propria vita. Come se una relazione significativa non potesse nascere e vivere di “sole” conversazioni telefoniche. In fondo anche il ragionier Bianchi vedeva sua figlia di persona, la domenica. Come se le “conference call” fossero riservate alle riunioni tecniche di chi lavora in aziende multinazionali. Il pregiudizio, più ci si allontana dall’europa verso l’America, l’Asia o l’Oceania, scompare.

Fino a quattro anni fa, la pensavo allo stesso modo. Ma da quando ho iniziato prima la formazione e poi il lavoro come coach ho scoperto che è possibile creare e mantenere relazioni significative e di coaching con persone che non si sono mai incontrate ma solo “ascoltate” al telefono (o su Skype). A oggi la migliore coach che con cui ho lavorato, si trova a Perth in Australia e non ci siamo mai incontrati di persona. Peraltro nonostante la tecnologia lo permetta, non ci siamo neanche mai visti in video, solo in audio. So che faccia ha solo per la piccola icona che ha su skype e probabilmente lei  di me ha visto qualche foto sul web. Ma è stata una grande relazione di coaching.

I miei figli (e credo i bambini in genere) non amano molto parlarmi al telefono e per mia fortuna negli ultimi anni i miei viaggi si sono molto ridotti di numero e posso godermi la bella sensazione di raccontare loro le storie seduto sulla sponda del letto. Tuttavia, non avrei mai avuto il privilegio e la possibilità di essere invitato nelle vite di persone in altri continenti e di contribuire al loro percorso personale e professionale se non ci fossimo incontrati al telefono.

Voi che ne pensate? Fareste mai una sessione di coachingal telefono? Perchè sì o perchè no? Lasciate un commento, mi interessa sapere che ne pensate.

P.S.

Provare il “coaching al telefono” è ancora possibile a questo link

Il problema della ridotta potenza preoccupa gli uomini da più di un millennio. Forse, “non ne vale la pena”: questa è una delle poche deviazioni che, senza mettere maschioforte.com in pericolo la vita di un uomo, incide così fortemente su tutti gli aspetti della sua attività e della sua autopercezione. I problemi di erezione non permettono di portare a termine un rapporto sessuale (e talvolta nemmeno di iniziarlo), e la diagnosi di “impotenza” suona come un verdetto per la maggior parte degli uomini. Soprattutto per i giovani uomini di 20-35 anni.